RELAZIONI
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Le interviste di LimpidaMente Matteo
Carmignoli, nato il 20 ottobre 1994 a Pontedera e residente a Rosignano
Solvay, ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere
a Pisa. Attualmente studia per la Laurea Magistrale in Lingue, Letterature
e Filologie Euroamericane presso la medesima università, specializzandosi
nella lingua tedesca. Scrittore emergente, appassionato di musica e
ovviamente di letteratura, ha pubblicato due libri, "I
Caduti" e "La
ragazza oltre il mare",
dei quali ci parla in questa intervista. Nel 2020 è uscito il
suo terzo libro, "Paradiso".
Risposta: «Direi che la sua condizione è provocata dal fatto di sentirsi come il tassello di un puzzle incastrato di forza nello spazio sbagliato. Egli si sente stridente con tutto il circostante, in apparenza così armonico. Si sente fuori posto. E neanche riesce ad immaginare quale possa essere il luogo adatto a lui… Però riesce a far tacere questi opprimenti quesiti posti dalla poca ragione rimastagli con l'aiuto dell'alcool e chi sa che altro. Egli è semplicemente un Caduto...». Cosa intende per Caduto? «Con questo termine io designo una condizione esistenziale di profondo smarrimento che certe persone percepiscono in sé fin dalla nascita. Tale condizione non ha né causa razionale né cura. Proprio per questo ho scelto tale termine, in tal modo assimilo i Caduti agli angeli che hanno perduto il Paradiso, il loro luogo di appartenenza, e continueranno a vivere e a vagare senza però potersi più sentire a casa. Pur percependo l'esistenza di un luogo per loro, il Paradiso, ormai però irraggiungibile… irrecuperabile!». Il professore è tormentato da un Demone di cui avverte una presenza reale. Di cosa si tratta effettivamente? «Potremmo definirlo in moltissimi modi. Io ho scelto Demone per mantenermi coerente con la cornice degli Angeli Caduti. Ma il Demone è quello che potrebbe benissimo corrispondere al concetto di Es freudiano. Il Demone è quella parte di noi più selvaggia, libera da vincoli sociali, etici e morali, sicuramente pericolosa, ma allo stesso senso più sincera di quanto noi, con la nostra coscienza (ovvero l'Io ricorrendo ancora al linguaggio freudiano), saremo mai. Volenti o nolenti, Il Demone, nei nostri momenti di scarsa lucidità e di liberta da tutti i vincoli impostici dal mondo esterno, ci mostra ciò che siamo realmente. Ci rispecchiamo in esso e talvolta ciò che vediamo può essere spaventoso». Ad un certo punto emerge la figura di un alunno che vive le stesse problematiche dell'insegnante e quella di un collega, il Professor Svidrigani. Come si sviluppa il ruolo di questi personaggi nel romanzo? «Carlo è una figura controversa che può essere interpretata in molti modi. A me piace lasciare libertà d'interpretazione ai miei lettori. Comunque sia, oltre a vederlo come un personaggio reale, cosa più che legittima, potremmo anche vederlo come un alterego o una sorta di proiezione della giovinezza dell'io narrante. Magari la proiezione di frustrazioni e rimpianti adolescenziali occultati da tempo che però, data l'estrema situazione emotiva ed il crollo psicologico che seguono il licenziamento, potrebbero essere riemersi. La vicenda è soprattutto la "storia di una coscienza", quindi più di un viaggio nel mondo interiore costituito da ricordi, rimorsi, rimpianti, sogni e desideri proibiti, che di un viaggio nel mondo esteriore. Lo stesso potrei dirvi di quel pervertito del Professor Svidrigani. Potremmo vedere in questi personaggi una proiezione dei desideri inconfessabili del nostro narratore. Lati di sé che magari persino ignora o fa di tutto per negare a se stesso, ma che non può occultare al Demone… E questi, ormai preso il controllo di quel teatrino allucinato in cui la coscienza si trova a recitare, divenutone regista, può utilizzare tutto ciò che sa per torturare il nostro narratore/protagonista». Leggendo "I caduti" si avverte un'atmosfera di disagio, violenza, perdizione... e dalla narrazione traspare un'interessante introspezione psicologica. Ha voluto inviare dei messaggi particolari ai suoi lettori? «Questo mondo mi appare come un mare in tempesta in un'eterna notte nebbiosa. L'unica salvezza è un faro… un lume che ci indichi la via e ci restituisca qualcosa da sognare e da desiderare ardentemente. Questo è ciò che i miei protagonisti in entrambi i racconti, smarriti da tempo, cercano disperatamente: una strada da seguire e qualcosa da desiderare e magari anche possedere. Il problema è che nello smarrimento esistenziale, vittime di un pesante vuoto interiore, pur di alleviare il dolore e trovare oblio o consolazione, siamo ben disposti ad imboccare, talvolta persino inconsapevolmente, strade oscure che ci portano in direzioni pericolose. Il dolore rende ciechi e sordi. Talvolta addirittura muti dal momento che ci chiudiamo in noi stessi, incapaci di comunicare il nostro disagio, rimuginando ed immaginando infinite soluzione e scenari, incapaci di realizzarne anche uno solo». Come è nata in lei l'ispirazione per questa storia? «Diversamente da "La ragazza oltre il mare", scritto più velocemente e con le idee immediatamente chiare, "I Caduti" ha avuto una gestazione piuttosto complessa. Anni di lavoro per realizzare un testo in cui ogni dettagli si trovi al suo posto per una ragione e che nonostante questo, e forse proprio per questo, dia al tutto un che di enigmatico. L'opera è nata dal tentativo, spero riuscito, di dare forma concreta, comprensibile e condivisibile a stati emotivi che hanno caratterizzato buona parte della mia adolescenza fino ai primi anni dell'"età adulta", e che non sono mai riuscito a comunicare in altro modo. È stata proprio questa necessità a farmi scoprire la scrittura. Oltre a ciò l'ispirazione per l'opera è nata anche dagli ambienti e le persone che frequentavo parecchi anni fa. Alcuni semplicemente dei poco di buono, altri invece persone stupende nell'animo, ma smarrite… schiave del proprio Demone e gradualmente divorate da esso! Alcuni di loro purtroppo ci hanno lasciato la pelle… Mi piace vedere nel mio primo libro anche un modo per dare voce a tale realtà marginale che ignoriamo volutamente… ma è reale. Il mondo in cui sguazzano agonizzanti i Caduti della società…». Il secondo libro "La ragazza oltre il mare" parla invece di una storia d'amore destinata fin dall'inizio a finire. Di cosa si tratta? «Beh… lo scopo primario dell'opera è quello di narrare non tanto una storia d'amore o il tentativo di salvarla, quanto il drastico conflitto fra sogno e realtà. Il protagonista ha idealizzato una breve storia e la figura di una giovane donna che a mala pena conosceva… "La ragazza oltre il mare" è la storia di un'immagine idealizzata che, inizialmente ammaliante e splendente, gradualmente si sgretola e si deforma, destinata a rivelarsi per ciò che era realmente… solo una storiella estiva passeggera. Ma la mente del poeta fatica a concepire certe visioni prettamente materiali. Ovviamente nel libro ho reso tutto in maniera iperbolica, come ho fatto anche quasi sempre ne "I Caduti"». Il protagonista de "La ragazza oltre il mare" vive drammaticamente il distacco definitivo dalla donna che ama; quali aspetti delle relazioni amorose ha voluto evidenziare nel romanzo? «Sicuramente il fatto che al giorno d'oggi l'amore sta diventando qualcosa di sempre più superficiale, materiale ed utilitaristico. "Amore" è un termine che utilizziamo con troppa leggerezza, quando in realtà spesso proviamo un'attrazione superficiale verso una persona o, peggio ancora, principalmente, se non unicamente, fisica. L'amore nasce con troppa facilità e con la stessa facilità ha fine. Rapidamente troviamo un sostituto. Beh… fatico a considerare questo "Amore"… Credo che si abusi di questa magnifica parola, coinvolgendola in storielle superficiali, puramente fisiche o magari semplici infatuazioni». Si tratta di un'opera frutto di fantasia o vi sono riferimenti a fatti reali? «È ispirata ad una mia relazione passata, ma il tutto è stato romanzato e rielaborato. Gli unici aspetti reali mantenuti nel testo sono il fatto che la ragazza vivesse su di un'isola e la sua descrizione fisica. Tutto il resto l'ho costruito, spentosi in me il sentimento verso questa persona, riascoltando canzoni che mi facevano pensare a lei, riguardando vecchie foto e visitando luoghi a lei connessi. Quindi in un certo senso mi sono fatto "violenza" per far riemergere un qualche sentimento da poter rimaneggiare ed utilizzare per la creazioni delle immagini emotive e la scrittura dei momenti lirici di cui il diario del protagonista è pieno». Si sente emotivamente partecipe alle problematiche espresse nei suoi romanzi? «I miei libri sono come esorcismi più o meno riusciti. Maturando ho presto realizzato che la scrittura è forse l'unico ambito in cui mi sento veramente libero e me stesso. Scrivendo di tematiche a me care, per coinvolgimento diretto o indiretto, riesco anche a liberarmi del loro peso, proiettandole fuori di me, deformandole, romanzandole, neutralizzandole e rendendole comprensibili o, nei casi più fortunati, condivisibili da tutti. In questo senso definisco il mio scrivere libri una sorta di esorcismo. Mi libero da un male e gli do una nuova forma, magari produttiva e apprezzabile da altri. Quindi la scrittura in un certo senso può tramutare il male in bene». Nei suoi personaggi c'è rassegnazione? Pensa che nella vita reale sia sempre possibile superare i problemi? |