RELAZIONI
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Le interviste di LimpidaMente Nato
a San Vitaliano (Na) nel 1968, Francesco D’Angiò è sposato e residente
a Matera. Esordisce nel 1997 con la pubblicazione di un racconto per
una casa editrice pugliese, dal titolo "Siamo tutti normali". Ha partecipato
ad alcuni concorsi letterari conquistando piazzamenti lusinghieri. Nel
2020 è stato pubblicato il suo libro "Lo
sconosciuto"
di cui ci parla in questa intervista.
Risposta: «Non credo si possa collocare in un genere preciso. Ci possono essere elementi interscambiabili tra un genere e l'altro, se proprio dobbiamo collocarlo da qualche parte. Potrebbe avere delle difficoltà a stare "comodo" in un genere, piuttosto che in un altro». Quale mondo ha immaginato per ambientare il suo romanzo? «Mi verrebbe da dire un mondo che ha fagocitato tutti gli altri. Un mondo fatto di una normalità mostruosa, dove la speranza ha raggiunto il suo scopo. Ovvero, non realizzarsi mai». Vi sono riferimenti con il mondo reale in cui oggi viviamo? «Purtroppo è proprio dal mondo reale che sono partito. Un mondo reale capace di fare meglio (o peggio) della più fervida fantasia del più bravo degli scrittori». Nel mondo del suo romanzo sembra esistere soltanto il male; teme che questo possa essere anche il destino della nostra società? «Più che temerlo, lo scorgo già da tempo. Se apro la mia porticina e guardo in ogni direzione, andando a ritroso nel tempo fin dove posso, noto un ineluttabile atteggiamento di autoassoluzione nei confronti di ogni tragedia collettiva e non. Per la serie, abbiamo metabolizzato tutto e di più, nel senso che non sarà questo il migliore dei mondi possibili, ma di meglio pare proprio non possa esserci. Quindi, non è già da un po' che camminiamo sulla strada del "meno peggio"? Alla fine, non resterà che solo il peggio». Perché ha affrontato questo argomento nel suo libro? Da cosa è stato ispirato? «Mi sono ispirato all'individuo che incontro giornalmente, all'individuo che può fare parte del nucleo familiare di ognuno di noi. A colui che possiamo incontrare in ogni esperienza di vita quotidiana. Certo, ci possono essere anche delle eccezioni...». Con questa storia in cui domina la crudeltà, qual è il messaggio che intende inviare ai lettori? «Senza falsa modestia, non si tratta di inviare un messaggio. Spero solo che chi vorrà avere la bontà di leggere il libro, si porti dentro qualcosa con cui dialogare per qualche giorno, oltre il tempo impiegato per leggerlo». Scrive molto? Quanto tempo dedica alla scrittura? «Ho ripreso a scrivere con continuità da qualche anno. Se posso permettermi, la scrittura è stato il mio primo (ed unico?) amore. Accade che certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano (sto citando qualcuno di cui non ricordo il nome). Ora ci siamo ripromessi di non lasciarci più. Spero che per qualcuno non suoni come una minaccia». Quali soddisfazioni si aspetta per la sua attività letteraria? Ha, come suol dirsi, un sogno nel cassetto? «Forse non è ancora giunto il tempo di rispondere a questa domanda. Nell'oceano di pubblicazioni che ci sono, il mio libro è una piccola barchetta di carta, ed è già tanto essere riuscito a metterla in acqua. Qui si aprirebbe un discorso più ampio sulle case editrici, ma al momento è meglio fermarsi alla metafora marina. Ho un sogno nel cassetto? Mantenere una promessa fatta ad una persona che non c'è più». Ha in programma la pubblicazione di altri libri? Di cosa parleranno? «E chi può dirlo, è ovvio che non dipende solo da me. Certo, continuerò a scrivere. Perché quello che farò da grande, l'ho già deciso. Di cosa parleranno? Del ritorno dello "sconosciuto"...». |
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