RELAZIONI
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Le interviste di LimpidaMente Nata
a Torino il 19 gennaio 1954, Margherita Cucco ha alle spalle una lunga
carriera come insegnante di materie letterarie nei licei. Ama i libri,
la musica e i viaggi; fin da bambina ha inventato e raccontato storie
a se stessa e a pochissimi amici, e soltanto alle soglie della pensione
ha deciso di far conoscere le sue invenzioni ad un pubblico, forzando
in qualche modo la sua natura di animale selvatico, in questo simile
ad alcuni suoi personaggi. Ha esordito nel 2015 con il romanzo storico
"Esca
il britanno",
cui sono seguiti altri romanzi dello stesso genere, "Il
centurione fortunato",
"La
ragazza che voleva viaggiare" (2019) e "Antenati
barbari"(2022). Al genere
poliziesco appartengono invece "Tilde
e il violinista" (2017) e "Consiglio
di classe"
(2022), mentre tre libri sono stati da lei dedicati al giovane artista
Tim Bergling-Avicii, la cui tragica storia l'ha profondamente colpita:
"Il
ragazzo luminoso" (2018), "Avicii,
A Study in Darkness e un'altra storia"
(2020) e "Tim,
partitura a due voci"
(2021). Nel 2023 è uscito il suo romanzo "Anita,
una storia romantica" e nel 2024 "Gli
occhiali di Lorenzo".
Risposta: «Io sono una scrittrice “tardiva”: infatti ho iniziato a scrivere testi letterari intorno ai sessant’anni, all’approssimarsi della pensione. Però la mia passione per le storie e i racconti è di vecchissima data, risale alla mia prima infanzia: mi è sempre piaciuto ascoltare e leggere racconti e, naturalmente, raccontare a mia volta. Già da bambina inventavo storie che raccontavo a me stessa e a chi si mostrava disposto ad ascoltarmi; più tardi scrivevo addirittura storie a puntate e le spedivo per posta (niente email allora!) ad amiche che abitavano lontano. Con tutto ciò, anche se la cosa può sembrare strana, non avevo mai preso in seria considerazione la possibilità di scrivere veri e propri testi narrativi, anche perché sono stata molto presa prima dagli studi, poi dal mio lavoro di insegnante e infine da gravi problemi familiari. La svolta decisiva è arrivata in modo del tutto casuale, o fatale, con un pomeriggio al cinema e la visione di un film che iniziò ad ossessionarmi, finché sentii l’assoluta esigenza di raccontare, mettendola per iscritto, la vicenda del film dal punto di vista di uno dei personaggi; così nacque il mio primo romanzo, “Esca il britanno”, e da allora non mi sono più fermata». Lei ha già pubblicato diversi romanzi di vario genere: dedica molto tempo alla scrittura? «Rifiuto di considerare quello di scrittrice un lavoro: io sono stata per decenni un’insegnante e ora sono felicemente in pensione; scrivo quando ne sento l’esigenza, anche a distanza di molti mesi dall’opera precedente, ma quando inizio in genere non mi fermo. Sono abbastanza veloce per quanto riguarda i miei ritmi, ma mi impongo di scrivere ogni giorno per un tempo limitato, anche se, quando sono presa dall’impeto, non smetterei più e passerei tutta la giornata in compagnia dei miei personaggi…». Quali sono gli argomenti maggiormente trattati nei suoi romanzi? C'è un filo conduttore comune nelle sue storie? «Senza dubbio ciò che più mi interessa e mi appassiona è l’analisi psicologica dei personaggi, la loro crescita interiore e l’evoluzione dei loro rapporti reciproci. Non a caso, pur appartenendo a diversi generi, i miei romanzi hanno in prevalenza come protagonisti personaggi giovani o giovanissimi, che vivono un percorso di formazione non sempre facile, spesso accompagnato da un distacco dal loro mondo di origine e da un viaggio in luoghi remoti e sconosciuti: i viaggi, che peraltro sono una mia grande passione, sono anche una metafora della vita, col suo insieme di esperienze, incontri e scontri. Qui veniamo ad un altro tema fondamentale della mia narrativa: l’incontro con il “diverso”, l’altro da sé, a volte addirittura il nemico. L’avvicinamento e il dialogo fra persone in apparenza lontanissime è importante per condurre alla reciproca conoscenza, che può anche diventare amicizia o amore». Alcuni dei suoi romanzi sono ambientati in un passato molto remoto. Da cosa nasce la sua passione per la Storia? «Da quando ero molto piccola ho sempre amato moltissimo non solo le storie in genere, ma la Storia vera e propria; mio padre era un docente di Storia e Filosofia, e ovviamente la nostra casa era piena di libri di storia che io iniziai a sfogliare prima ancora di imparare a leggere. La Storia è stata la materia che, da studentessa, mi appassionava di più, e che in seguito mi è piaciuto di più insegnare; in realtà, per me eventi e personaggi storici non sono mai stati nozioni scolastiche, ma fatti concreti e persone reali, che mi coinvolgevano come se fossero contemporanei e in carne e ossa. In particolare, nel passato più lontano, che mi ha sempre affascinata, quelli che attiravano di più il mio interesse erano coloro che nella maggior parte dei nostri romanzi e film sono i “cattivi”, i barbari: Britanni, Vichinghi, Visigoti, Longobardi… Mi viene spontaneo avvicinarmi a loro, cercare di conoscerli e descriverli come esseri umani, andando oltre lo stereotipo del barbaro pagano e selvaggio. Non so esattamente perché, ma in quelle epoche e con quella gente io mi trovo a mio agio…». A quale pubblico di lettori si rivolge principalmente? «Forse perché sono stata per un quarantennio un’insegnante che amava il suo lavoro, istintivamente credo di rivolgermi ad un pubblico giovanile, e non a caso, forse, i miei protagonisti sono spesso adolescenti o giovani uomini e donne che cercano la loro strada e il loro posto nel mondo. Questo non significa che io scriva libri “per ragazzi”: quando inizio a scrivere non ho in mente un pubblico specifico, e del resto ho constatato, non senza soddisfazione, che i miei romanzi possono piacere a lettori molto giovani e ad altri che hanno superato gli ottanta e addirittura i novant’anni. Penso di rivolgermi a chiunque ami leggere storie di esseri umani e dei loro rapporti, ambientate nei tempi e nei luoghi più diversi». Quali sono le opere pubblicate a cui tiene di più? Di cosa parlano? «Naturalmente sono affezionata a tutte le mie opere, ma ad alcune più che alle altre. Per le ragioni che ho già esposto, amo particolarmente i romanzi storici, e fra questi specialmente il mio figlio primogenito, “Esca il britanno”, ma anche “La ragazza che voleva viaggiare”, “Il centurione fortunato” e i due romanzi compresi nel volume “Antenati barbari”. Un altro sentimento molto forte è quello che mi lega ai tre libri che ho dedicato alla memoria di un grande artista, Tim Bergling, più noto come il DJ Avicii, tragicamente scomparso nel 2018. Argomenti, personaggi e situazioni in apparenza lontanissimi da quelli degli altri miei libri: io ho ignorato l’esistenza stessa di questo ragazzo fino al giorno in cui lessi la notizia della sua morte e iniziai a interessarmi a lui e a un mondo, quello della musica elettronica, di cui nulla sapevo e che non aveva mai attirato il mio interesse. Eppure… abbiamo anche qui un personaggio molto giovane, che incontra sul suo breve cammino persone molto diverse da sé; il suo viaggio è un tormentato percorso verso l’abisso, costellato di successi, di opere di grande livello artistico, ma anche di errori e sofferenze, sino alla tragica fine. Questa storia, che per molti giovani può anche essere di monito, mi ha travolta come uno tsunami e mi ha ispirato ben tre libri ai quali sono molto legata». Nelle sue opere sono sempre rilevanti le relazioni interpersonali: vi sono particolari messaggi di carattere umano e sociale che intende trasmettere? «Ritengo sia sbagliato iniziare a scrivere proponendosi di inviare messaggi qualsivoglia, perché si rischia di cadere nel didascalico e nel moralistico; però, rileggendo i miei testi e riflettendoci, mi rendo conto che, se un messaggio e un insegnamento se ne può ricavare, è quello che afferma la sostanziale uguaglianza fra gli esseri umani e la necessità di incontrarsi, a costo di abbandonare la propria rassicurante quotidianità e di avventurarsi nell’ignoto, e l’importanza di parlarsi, di conoscersi come individui e non come semplici rappresentanti di un popolo, di una razza, di una categoria a cui tendiamo ad appiccicare una generica e inadeguata etichetta. Io penso, perché le mie letture e i miei viaggi me lo hanno insegnato, che il mondo è grande e bello e merita di essere conosciuto, così come lo meritano i suoi abitanti, che il bene o il male non sta mai tutto da una sola parte e che per capirsi bisogna incontrarsi, parlare, superare le barriere e i pregiudizi». Cosa le piace di più della sua attività di scrittrice? Quali soddisfazioni ha ottenuto e quali si aspetta in futuro? «Mi piace più di tutto quella fase in cui una storia nasce dentro di me, i personaggi acquistano vita propria, mi parlano e mi tengono compagnia durante la giornata… e di notte; in questa fase, quando scrivo, ho l’impressione di non essere io a escogitare le vicende, ma di scrivere sotto dettatura di qualcuno o qualcosa che mi domina completamente. Forse non è molto professionale, ma ho già detto che non considero quella di scrittrice una professione: scrivo quando ne sento il bisogno e non posso farne a meno, e questo è bellissimo. Questa è la mia principale soddisfazione, un’attività che trova in se stessa il suo compenso e mi rende felice; poi, naturalmente, ci sono altre soddisfazioni: suscitare l’interesse di un editore, riuscire a coinvolgere altre persone nelle storie che sono nate da me, ricevere gli apprezzamenti dei lettori, soprattutto se si tratta di perfetti sconosciuti (si sa che amici, parenti e colleghi non sempre sono imparziali). Che cosa mi aspetto per il futuro? Ovviamente mi farebbe piacere, come penso a chiunque, trovare sempre più lettori, suscitare l’interesse della critica e così via; se però devo essere sincera, un altro è il mio desiderio più intenso: ogni volta che termino un libro, penso che potrebbe essere l’ultimo, perché la mia ispirazione prima o poi dovrà pur esaurirsi. Ebbene, sarebbe bello provare ancora una volta quell’entusiasmo travolgente, veder nascere nuovi personaggi che mi raccontino le loro avventure e, si capisce, riuscire a trasmettere ad altri la passione che ho sentito mentre scrivevo. Il resto, se mai verrà, sarà ben accetto, ma questo è ciò che desidero di più». |
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