Limpida Mente

RELAZIONI - Le interviste di LimpidaMente

Alcune domande a PIETRO BUCCINNÀ
(02 settembre 2023)

Pietro Buccinnà è nato ad Albenga (SV) nel 1964, quarto ed ultimo figlio di una famiglia calabrese emigrata in Liguria negli anni ’50. Si è laureato in Lettere all'Università di Genova, con indirizzo in Storia moderna e contemporanea. Scrive dal 2010. La sua opera “Come soldati di cartone sotto la pioggia” dedicata alla prigionia del padre dal 1943 al 1946, ha vinto il premio letterario Federico Garcia Lorca, quale miglior romanzo storico. LimpidaMente lo ha intervistato dopo l'uscita del suo romanzo "Uomini e basta".

PIETRO BUCCINNÀ
 

Domanda: "Uomini e basta" è un romanzo particolare, nel quale amore e odio coesistono nell'ambiente militare durante la seconda guerra mondiale. Come è nata l'idea di scrivere quest'opera?
Risposta: «L’idea, così come è stata realizzata, nasce per caso. Stavo cercando informazioni sulla campagna d’Africa e su quell’episodio che la nostra letteratura ha parzialmente evitato che riguarda “la Caporetto del deserto”, cioè la disfatta del nostro esercito da parte di quello inglese, di gran lunga inferiore. Nel raccogliere materiale mi sono imbattuto su alcuni articoli che riguardavano il nuovo codice penale dell’epoca fascista, per la precisione il Codice Rocco, in particolare sui reati di costume. Pare che Hitler avesse chiesto a Mussolini di imitare le leggi tedesche nei confronti di alcune categorie, Ebrei, disabili e omosessuali. Il duce però fece cancellare il reato di omosessualità, con questa motivazione: “fare una legge contro qualcuno significa ammettere la sua esistenza“. Per questa ragione gli omosessuali, che in Italia “non esistevano”, non furono mai perseguitati. Allora spostai la mia ricerca su come vivessero in realtà, e che visione c’era in quegli anni di loro, soprattutto della morale. Quindi decisi di unire i due argomenti, guerra e amore, in un'unica storia».

Nel romanzo vi sono vari riferimenti storici che richiamano vicende belliche realmente accadute; sono tutti riferimenti reali o ha aggiunto elementi di fantasia?
«Credo che impegnarsi a scrivere un romanzo storico voglia dire in primis rispettare la storia. Nulla di ciò che ho scritto sui luoghi o sugli avvenimenti storici è inventato. Anche la descrizione di paesi attraversati fa parte di una ricerca fotografica. Veri sono anche alcuni personaggi che in quel luogo e a quel tempo erano proprio lì. Gli unici a essere frutto della mia fantasia, sono solo i protagonisti, assolutamente verosimili».

Il protagonista del romanzo, soldato profondamente fascista con il culto della virilità, si trova coinvolto in un amore omosessuale. Qual è la sua opinione su questo genere di sentimenti?
«Già pensare di avere un opinione, stride. Io ho rispetto dei sentimenti in qualunque direzione questi siano diretti. Forse c’è bisogno di più cultura, per comprendere che l’amore, l’attrazione, la sessualità, se vissuta consensualmente, è la più bella forma di comunicazione esistente, e che non è importante chi comunica a chi».

Per quanto riguarda i suoi personaggi, si è ispirato a persone reali e a vicende realmente accadute o si tratta di invenzione letteraria?
«Quando si scrive, tutto il materiale che si ha a disposizione è stipato nella nostra mente, catalogato come esperienza, conoscenza, emozioni, educazione e paura, e tutti questi ingredienti formano i sogni. I personaggi come ho già detto sono inventati, ma nascono dalle mie esperienze. Prima di scrivere questo libro, ho chiesto ad un ragazzo omosessuale di poterlo baciare. Nella mia stupidità cercavo il modo di comprendere quel tipo di emozione. Lui ha accettato, e dopo averlo fatto mi ha guardato ridendo, e ha sottolineato la mia stupidità. Mi sono sentito un idiota, perché solo in quel momento ho compreso che i sentimenti non hanno sesso. Quindi ho scritto di un amore omosessuale pensando ad una donna».

Al di là della storia narrata, cosa pensa, in generale, dei giovani che in tempo di guerra si arruolano volontariamente per combattere in nome di un'ideologia?
«Non avevo ancora diciotto anni, quando mi arruolai volontario nella Folgore, e la motivazione era sicuramente un’esaltazione dell’uomo invincibile al di sopra di tutto. Poi si deve maturare, la vita deve darti gli strumenti per comprendere ciò che ha veramente senso. Arruolarsi con il rischio di morire a causa di un ideale, lo trovo assurdo, mentre arruolarsi per difendere il proprio paese credo che sia la cosa più logica. Le ideologie mettono troppi limiti al nostro istinto di libertà, quindi credo che solo una grande apertura mentale possa realmente trovare la strada per una società più serena».

Senza svelare la trama, che merita di essere gustata passo dopo passo dai lettori, può definire il suo romanzo con qualche aggettivo che ne descriva l'intensità dei contenuti?
«Ogni romanzo è un dialogo silenzioso tra chi scrive e chi legge, e sarà sempre il lettore con le emozioni che proverà a decidere quali aggettivi usare per definirlo. Io posso solo dire che l’ho vissuto».

Quali messaggi ha voluto trasmettere ai lettori?
«La storia parla di un silenzio durato tutta la vita. Se un messaggio ci deve essere, allora è che dovremmo confrontarci un poco di più e giudicarci molto di meno. Qualcuno ha scritto “Il silenzio avvelena l’anima“: c’è molto di noi che il mondo non sa è c’è molto del mondo che noi non sappiamo, e il silenzio non aiuta».

Ha scritto altri romanzi riguardanti la guerra e la vita militare?
«Certo, ho scritto “Come soldati di cartone sotto la pioggia“ che parla di mio padre prigioniero nei lager tedeschi, “Ego te absolvo in nomine caritate” dove la guerra cambia il destino di un ragazzo, “Non ci resta che vivere“ dove dieci storie ci riportano al passato. In realtà in tutti i miei libri parlo di storia, perché in fondo anche ieri è storia».

Quanto tempo dedica alla scrittura? Sta preparando altri libri?
«Non ho un tempo, ho un bisogno, che è quello di uscire dal mondo reale per viaggiare in un universo da me costruito. Sì, sto scrivendo un altro libro, con protagoniste solo donne».

Quali soddisfazioni si aspetta dalla sua attività letteraria?
«Un proverbio arabo dice “Se Dio ci ha fatto due orecchie e una sola bocca, forse voleva dirci che dobbiamo parlare di meno e ascoltare di più”. Ultimamente le persone hanno voglia solo di parlarsi addosso, e non di ascoltare gli altri, quindi scrivere è l’unico modo perché qualcuno ti ascolti di propria libera iniziativa. Quindi la mia soddisfazione è di poter essere ascoltato».

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