Limpida Mente

CULTURE - Le interviste di LimpidaMente

Alcune domande a VITTORIO SARTARELLI
(11 novembre 2017)

Vittorio Sartarelli è nato a Trapani nel 1937. Ha avuto esperienze lavorative nel settore giornalistico e successivamente è stato assunto presso un Istituto bancario, dove ha lavorato per 35 anni. Ha esordito come scrittore nel 2000 e ha ottenuto vari premi e riconoscimenti per opere letterarie edite e inedite. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali “Eventi, rimembranze e personaggi della memoria”, “35 anni da bancario”, "Storie vere di vita vissuta”, "Cara Trapani..." e "Spigolature".

Vittorio Sartarelli

VITTORIO SARTARELLI

Domanda: "Spigolature" è il suo nuovo libro autobiografico che abbiamo letto e apprezzato molto. Perché ha scelto questo titolo?
Risposta: «Perché contiene alcuni racconti che non risultavano ancora pubblicati e perché si riferiscono a periodi di tempo diversi e che contengono eventi molto diversi tra di loro. In omaggio forse appunto al titolo, che ha principalmente il significato di raccolta, successiva alla mietitura, delle spighe rimaste a terra».

I suoi racconti parlano di vicende vissute, spesso lontane nel tempo. Quali sentimenti l’hanno indotta a scriverli?
«Considerando la mia veneranda età raggiunta è fisiologico che quasi tutti i racconti della mia vita siano ormai lontani nel tempo, moltissimi dei quali appartengano al secolo scorso. Per quanto riguarda i sentimenti che mi hanno indotto a scriverli, sono principalmente i ricordi che affiorano dal passato con tutte le prerogative e le conseguenze che nel tempo hanno circostanziato la mia esistenza e, a volte, modificato i concetti di amicizia e di relazione sociale che, per educazione ricevuta e per inclinazione morale preesistevano in me. Ho sentito il desiderio di trasferire nei lettori le mie esperienze di vita con le quali creare i presupposti per superare le difficoltà dell’esistenza».

Nei suoi racconti c'è molta nostalgia. Vi sono anche rimpianti?
«Quando si ricordano eventi e situazioni che si riferiscono al periodo giovanile che di solito sono un po' per tutti i migliori della propria vita, se non altro per la gioventù che purtroppo passa presto e non torna più, è logico che sia presente la nostalgia. I rimpianti ci sono e si riferiscono agli errori commessi in gioventù sia per la propria inesperienza che per la valutazione errata di alcune situazioni e poi per la constatazione, amara, di verificare l’inesattezza ed a volte la diversità, se non addirittura la contrarietà e l’inesattezza di alcuni principi morali che giudicavo eterni ed immutabili. L’Amicizia, la Lealtà, il Mutuo Soccorso, l’Onestà morale ed intellettuale, la Magnanimità e la Verità assoluta».

Se potesse tornare indietro nel tempo, cambierebbe qualcosa delle sue scelte di vita?
«Ad eccezione degli errori commessi per i quali sono pentito ed ho fatto tutto quello che mi era possibile fare per rimediare, nonostante che essi mi siano serviti anche per crescere e sapere affrontare i pericoli della vita e a sapermi difendere dal male e dalle cattiverie di alcune persone, per il resto non cambierei una virgola delle mie azioni e dei miei comportamenti adottati durante tutta la mia esistenza, che ho giudicato equi e razionali».

Quali sono i ricordi più belli che ha descritto in questo libro?
«Andando per ordine temporale e cominciando dalla mia adolescenza, i miei ricordi più belli e sicuramente indimenticabili sono quelli che riguardano la visita inaspettata e molto gradita che la mia famiglia ha potuto godere della venuta di mio zio dall’America, per i regali che portò un po' a ciascuno di noi fratelli e sorelle, costituiti da indumenti ma soprattutto per i dolciumi, le gomme da masticare e quei dieci chili di cioccolata che, in un paio di mesi, saccheggiai furtivamente perché mi piaceva enormemente. Poi ricordo con gioia il periodo della scuola superiore, soprattutto il Liceo Classico che contribuì alla formazione del mio carattere e della mia cultura, compreso il desiderio mai sopito di sapere e conoscere sempre cose nuove arricchendo le mie cognizioni, le più varie di tutto lo scibile umano che finora non mi ha mai abbandonato. Infine il periodo più bello fu quello degli anni ’60 durante il quale, dopo aver conseguito la maturità, ho potuto godere ampiamente della frequentazione con la mia ragazza potendo assaporare l’amore che nutrivo per lei e la gioia che mi faceva provare la sua presenza quasi giornaliera. In seguito, dopo un periodo buio e doloroso della mia vita che la cambiò improvvisamente, fu quando, finalmente, trovai un posto di lavoro stabile impiegandomi in banca. La nuova sistemazione mi consentì di sposare la mia fidanzata e crearmi una famiglia, iniziando un nuovo corso della mia vita».

E quali sono, invece,i ricordi meno felici?
«Senza dubbio il periodo più brutto della mia vita fu quando, improvvisamente, mio padre si ammalò: mi sembrò che mi fosse caduto addosso il mondo. La nostra situazione familiare cambiò quasi subito, mio padre costituiva la principale ed unica forma di sostentamento per la mia famiglia, che improvvisamente venne a mancare. Mia madre iniziò a lavorare aiutata da una zia che conviveva con noi. Io mi gettai alla ricerca assillante e continua di un posto di lavoro per contribuire al bilancio familiare. Passarono oltre tre anni di tribolazioni perché la malattia di mio padre peggiorava ed io non trovavo lavoro e le condizioni finanziarie della mia famiglia erano precarie e a volte insufficienti ai bisogni. In quel periodo soffrii terribilmente per l’ipocrisia e la cattiveria di alcune persone che, mentendo abilmente, mi illudevano di aiutarmi ed invece non facevano niente per farlo. Questo periodo della mia vita fu terribile e non lo auguro a nessuno perché è devastante, tuttavia, riuscii a superarlo sopportandolo con l’ausilio provvidenziale e continuo della donna che amavo. Lei non mi fece mai mancare la sua comprensione ed il suo incitamento a non desistere mai e a sperare sempre nel futuro con l’aiuto di Dio».

In alcuni racconti parla del periodo in cui andava a scuola. Cosa prova quando ripensa a quei momenti vissuti da bambino e da adolescente?
«I periodi in cui andavo a scuola sono due e ben distinti, il primo quando cominciai la scuola elementare e questo per me, all’inizio, fu psicologicamente traumatico: eravamo rientrati a casa dallo sfollamento dovuto alla guerra, avevo appena sei anni, avevo vissuto, insieme alla mia famiglia in un paesino pedemontano del nostro hinterland provinciale. Eravamo praticamente in campagna, per cui scorrazzavo tutti i giorni dal mattino alla sera per i campi che circondavano il paese, assieme ad una flottiglia di piccoli amici, quasi coetanei. Naturalmente, in un paese rurale i figli piccoli degli abitanti, tutti agricoltori, non godevano di molta cultura o di abitudini educative che si ricevevano presso le famiglie borghesi cittadine. Io mi ero perfettamente integrato in quel tessuto sociale, assorbendone inevitabilmente le abitudini e le consuetudini. Ero felice, mi sentivo libero di muovermi in un habitat naturale bucolico a contatto con piante e animali che mi entusiasmava, la scuola l’avevo dimenticata. Quando iniziai a frequentare la terza elementare, in città, in una classe bene ordinata e strutturata, con una maestra che, agli inizi mi sembrò un sergente di ferro, ero molto a disagio sia dal punto di vista comportamentale, non certo cittadino, che dal punto di vista culturale perché con lo sfollamento avevo lasciato a metà una seconda classe in seno alla quale, si era fatto finta di studiare, con i problemi della guerra la maestra poverina non sapeva come e cosa fare. Poi, gradatamente, cominciai ad abituarmi alla nuova realtà, la nuova maestra era eccezionale, quando si studiava non tollerava distrazioni o dimenticanze, si doveva studiare impegnandosi seriamente. La sua bravura consisteva nel creare nella scolaresca il piacere di ascoltare le sue lezioni e ad eseguire con zelo le disposizioni che lei impartiva. Pian piano anch’ìo mi adeguai e mi misi in riga e iniziò per me un’altra vita, mi piaceva quella maestra e mi aveva fatto nascere dentro la volontà ed il piacere d’imparare e di ampliare le mie conoscenze. Il secondo periodo di scuola che ricordo con molto piacere fu quello durante il quale frequentai il Liceo Classico della mia città. Era una scuola d’elìte ed io ero orgoglioso di appartenere ad un istituto famoso ed ambito che costituiva per gli studenti una certezza di apprendimenti formativi per un giovane, sia dal punto di vista caratteriale che da quello culturale, sociale e umano. Nei tre anni di Liceo, dopo i due di Ginnasio, per le materie studiate e per i professori che ho avuto, io sono diventato un uomo. Quello che mi ha insegnato questa scuola, non lo dimenticherò per tutta la vita, quello che sono diventato nella vita, nel lavoro e nella famiglia è stato basilare e altamente complementare dell’educazione familiare che ho ricevuto sin da piccolo. Gli studi classici, non è vero che al giorno d’oggi siano inutili e superati, perché l’istruzione umanistica costituisce un punto di partenza che aiuta molto ad affrontare le sfide della vita. La Cultura che si riceve e che si coltiva costantemente permette di affermarsi in qualunque condizione di lavoro, perché insegna a ragionare e ad usare il cervello in tutte le attività che ciascuno svolge, con raziocinio, rettitudine e giusta causa».

Quali personaggi citati nel libro ricorda con maggiore intensità?
«I personaggi dei quali parlo nel mio libro, sono quasi tutti importanti, perché costituiscono il retaggio storico, culturale e affettivo dei miei ricordi e sono in primis mio Padre, la persona cara che mi ha educato e fatto crescere con tutti i requisiti di una persona onesta, generosa, comprensiva e socievole, rispettosa del prossimo e delle opinioni altrui, coerente sempre con i suoi principi di dirittura morale e della sua coscienza. Dopo viene la maestra della scuola elementare per gli insegnamenti educativi e culturali che mi ha impartito e che mi hanno consentito di crescere e di capire la vita. Poi ricordo con affetto lo zio d’America, una persona che nella vita aveva sofferto molto e che meritava il ringraziamento per quello che aveva sentito di fare per i suoi parenti più intimi. Il mio professore d’Italiano che scoprì in me lo scrittore durante i tre anni di Liceo e del quale ho un affettuoso ricordo per il suo modo d’insegnare e per la sua umanità. A seguire c’è il mio migliore amico al quale, pur avendo sbagliato nei miei confronti, complici anche in ciò le difficoltà della vita, sono rimasto legato da un’amicizia ed un affetto di tanti anni trascorsi insieme e al quale ho perdonato. Poi c’è "l’Onorevole", la cui bontà e magnanimità mi ha consentito di crearmi una famiglia e di diventare un apprezzato funzionario di banca che in trentacinque anni di carriera si è distinto per le sue capacità ed il savoir faire con una clientela numerosissima ed un ottimo rapporto con i colleghi. A seguire il Direttore Generale del mio istituto bancario con il quale ho avuto rapporti di stima ed apprezzamento per le sue qualità tecnocratiche ma con il quale dissentivo sul modo di considerare le priorità della vita. In ultimo ma non certo per ultimo una persona cara della quale ho solo parlato di contorno alle mie situazioni particolari di affetto ed umanità. Intendo parlare della mia compagna di vita, la madre dei miei figli, che mi ha aspettato, mi ha sempre assistito e confortato nelle difficoltà della vita, dandomi la forza e la volontà di superarle. Siamo sposati da 53 anni e ci amiamo ancora come la prima volta».

In un suo racconto parla degli anni ’60 definendoli “favolosi”. Cosa ha rappresentato per lei quel periodo?
«Negli anni ’60 e precisamente il 15 gennaio del 1963 iniziai la mia nuova vita di bancario, era finito per me e per la mia famiglia un periodo nero e pesante della nostra vita. L'anno dopo, finalmente dopo un decennio di fidanzamento, potei coronare il mio sogno d’amore e sposare quella che sarebbe stata la donna della mia vita. Il progresso tecnologico e economico del Paese aveva migliorata la qualità della vita di tutte le famiglie italiane, l’Italia era uscita dalle ambasce della guerra e ormai si profilava all’orizzonte quello che poi fu il miracolo italiano».

A quale pubblico consiglia la lettura di questo libro?
«Pur essendo un libro uno strumento di conoscenza per tutti, ritengo che possa essere interessante e propedeutico per i giovani, per quei giovani che per il momento non trovano un posto di lavoro e si scoraggiano. Alcuni smettono di cercare, altri emigrano cercando di trovare lavoro al nord del nostro paese o, addirittura, all’estero. Si deve avere fiducia nel futuro e non stancarsi mai di cercare di migliorare la propria posizione sociale, certo l’istruzione e la cultura costituiscono un trampolino di lancio per il futuro e poi, bisogna avere fede in Dio, al quale rivolgersi per essere aiutati nelle difficoltà della vita. Bisogna avere pazienza, ci vorrà del tempo, ma con la fede e la speranza le cose cambieranno e la vita ritornerà ad essere bella da vivere e da godere».
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