CULTURE
- Le interviste di LimpidaMente
Alcune domande a DANIELE OSSOLA
(04 maggio 2021)
Daniele
Ossola è laureato in Economia e Commercio all’Università Cattolica di
Milano. Iscritto all'Ordine dei Giornalisti, è stato direttore del periodico
"Il Gabbiano". Appassionato di teatro amatoriale, ha fondato e diretto,
metà anni ’80, "La Cumpagnia del fil da fer" per la quale ha scritto le
sceneggiature e curato la regia. Ha coordinato laboratori teatrali di
dizione e postura, ed è stato docente di Scrittura Creativa presso l’UNITRE
(Università delle Tre Età) di Sesto Calende (VA). Vincitore e finalista
in numerosi Concorsi Letterari nazionali e internazionali. Ha pubblicato
racconti e romanzi, tra i quali "Rubli
e lire" di cui ci parla in questa intervista, "Identità
in conflitto" e "Sogni
a Gavirate ...amori ad Angera".
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DANIELE OSSOLA
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Domanda:
"Rubli e lire" è un libro che riguarda la contrapposizione tra comunismo
e capitalismo negli anni '50 e '60 del secolo scorso. Come è nata l'idea
di scriverlo?
Risposta: «In seguito alla presentazione
di un mio libro presso la Biblioteca di Arese, andammo a cena. Erano
con me i due presentatori e la lettrice: Simona Blasutig. Mentre condividevamo
la piacevole compagnia, il buon cibo, il vino e l’immancabile grappa,
Simona ha iniziato a raccontare alcuni fatti di storia vissuta. Coinvolto
dalle sue vicende, la mia fantasia ha iniziato a lavorare intravedendo
la traccia di un possibile romanzo. Alla fine le ho proposto di scrivere
un libro insieme decidendo di ambientare questi eventi non negli anni
’70 ma vent’anni prima, con tutti i riferimenti storici modificati.
Siamo quindi negli anni ’50 al culmine dello stalinismo e, dopo la sua
morte nel ’53, con l’arrivo di Kruscev le cose continuano come prima…
se non peggio».
Quest'opera è un romanzo di gradevole lettura ma contiene in sé anche
un vero e proprio saggio sulle relazioni tra l'Italia e l'Unione Sovietica
di un particolare periodo storico. È d'accordo con questa definizione?
«Concordo pienamente in quanto è stata proprio una suddivisione di compiti
con la co-autrice: Simona si è occupata della definizione e dello sviluppo
romanzato dei vari personaggi femminili (Aurora e Angelina amiche e
colleghe al laboratorio PRE.CU), mentre io mi sono occupato degli aspetti
storico-politici. Essendomi laureato in Economia e Commercio con indirizzo
storico all’Università Cattolica di Milano, tutti i miei romanzi, racconti
e sceneggiature teatrali risentono di questo mio “vizio originario”.
Per me l’ambientazione storica diventa il perno che fa da sfondo alle
varie vicende che s’intersecano. Ho vissuto in prima persona il ’68
con Mario Capanna, allora leader del Movimento Studentesco a Milano
cacciato dalla Cattolica per poi andare alla Statale, gli scontri con
le forze dell’ordine, gli scioperi dove volavano sanpietrini, molotov
e gas lacrimogeni. Ho voluto quindi approfondire la genesi dei vari
movimenti della sinistra extraparlamentare italiana (es. Avanguardia
Operaia) in cui convivevano marxisti-leninisti, cattolici progressisti
e trotzkisti. Da qui, l’inevitabile ricerca storica della matrice sovietica
e dei rapporti tra URSS e PCI che portano all’immagine della copertina.
Da tener presente che Togliatti, durante lo stalinismo, aveva la cittadinanza
sovietica con dacia sul Mar Nero».
La protagonista del romanzo, Aurora, vive la realtà di quei tempi
e la sua vita, lavorativa e privata, in modo contraddittorio. Quali
aspetti del suo carattere ha voluto evidenziare?
«Immaginatevi Aurora una segretaria-tuttofare, capelli ricci di un rosso
ramato, occhi neri e penetranti, fisico atletico, camminata elegante.
Lo “sculettamento” è naturale, non voluto. Dopo un matrimonio fallito,
ha avuto una relazione sentimentale col Dott. Maggi, medico all’Ospedale
di Niguarda a Milano, che si è interrotta perché Aurora aveva scoperto
che il dottore era già sposato. Si vedevano nei pressi dell’Arena Civica,
al Parco Sempione, cenette lungo i Navigli o al Parco Lambro. Baci,
abbracci, grandi sospiri e niente più. Con Angelina Lovati era scattata
la reciproca simpatia sin dal primo giorno di lavoro di Aurora al PRECU.
Dopo aver intascato la paga mensile, il loro punto d’incontro era, di
sabato pomeriggio, l’UPIM di Piazzale Loreto. Le loro scorribande, oltre
ad essere contrassegnate da tante visioni, da poche prove e da rarissimi
acquisti di capi di abbigliamento, erano anche dedicate al pettegolezzo.
Un modo innocente per stemperare le tensioni accumulate. Il pensiero
di Aurora tornava sempre a Mosca, soprattutto quando le due amiche dovevano
provare reggiseni e mutandine. “Sì perché se da noi l’intimo femminile
può rappresentare uno stimolo sessuale, in URSS è un disastro.” E iniziava
a sciorinare dati ed esperienze riportate, dove solo il 18% delle donne
russe usava una forma qualsiasi di prevenzione del concepimento e fra
gli strumenti che circolavano, alcuni erano ancora di tipo medievale.
Le fallite vicende sentimentali hanno segnato la personalità di Aurora.
Da qui il duplice carattere della donna: gentile e disponibile con le
amiche e i pazienti (prima in ospedale poi nel laboratorio), dura e
decisa in politica (attivista del PCI) e verso il sesso maschile in
un mondo che sta cambiando, dal comunismo verso il capitalismo, in un
contesto sociale nel quale ha difficoltà ad orientarsi».
Vi sono barlumi di femminismo nelle donne protagoniste del romanzo?
In che modo viene manifestato?
«A parte Aurora che in seguito alle sue vicende personali ha un odio
viscerale nei confronti del sesso maschile, se vogliamo connotare il
femminismo negli anni ’50 e ’60 in URSS non è tanto un movimento che
si oppone alla concezione tradizionale della donna come subalterna e
inferiore all'uomo, bensì una realtà nella quale le donne, in un silenzio
assordante, hanno forti poteri decisionali. Aurora trascorre una sera
con Nataša in uno di questi komunalny kvartíry, in un appartamento
comune. È il primo incontro con il senso di oppressione fisica e morale
generato dalla camera da letto, quell’unica stanza privata dove tutta
una famiglia deve dormire, litigare, far l’amore, allevare i figli,
intrattenere gli ospiti, invecchiare, morire. Il locale comune è la
cucina, il luogo nevralgico della casa dove le donne, sempre e solo
loro, vanno quotidianamente a compiere miracoli gastronomici, e rappresenta
uno dei campi di battaglia principali. Aurora ascolta anche la storia
di Gorislava che sintetizza l’essere donna, moglie e madre a Mosca.
La sveglia squilla alle 5,30 sul suo comodino e la guerra di Gorislava
comincia. Si alza, corre in bagno, sgorga il gabinetto otturato, schiaccia
uno scarafaggio nella vasca, la riempie, accende il fornello, imburra
il pane per la colazione, scuote i bambini, sgorga di nuovo il cesso,
urla al marito che russa, abbassa il fuoco per non bruciare il salame
che sfrigola, rattoppa il grembiule del piccolo Evgenij, avvolge Isakij,
il grande, in uno strato di panni contro l’inverno, stira la camicia
al marito, toglie il salame dalla padella, dà lo sciroppo per la tosse
al più piccolo, serve i figli e il marito, li spinge fuori dalla porta,
corre nel bagno, stura il cesso ingorgato, oddio sono in ritardo, corre
fuori dalla porta, scopre che l’ascensore è ancora guasto, rotola giù
per le scale, verso la fabbrica di cuscinetti a sfera e la coda nel
negozio del salame. In tutte queste vicende gli uomini sono assenti».
Cosa è possibile scoprire o imparare leggendo il suo libro?
«Sicuramente le vicende personali narrate, anche se frutto di una rielaborazione
romanzata, forniscono uno spaccato di vita reale a Milano e a Mosca
in quegli anni. Stili di vita e comportamentali che spesso, per i non
addetti ai lavori, possono essere sfuggiti o dimenticati, visto che
sono trascorsi circa settant’anni. È opportuno conoscere cosa nascondeva
la propaganda dei Piani Quinquennali che aveva fatto dell’URSS una nazione
potente a livello planetario. Si scoprono i vari personaggi che raccontano
la vita vissuta tra contraddizioni, sogni spesso inesauriti e miseri
brandelli di gioia scaturiti da situazioni apparentemente insignificanti.
Quando un nulla poteva rendere felici».
Lei ha scritto quest'opera insieme a Simona Blasutig: può presentarci
in breve questa scrittrice e dirci come è nata la collaborazione con
lei?
«Simona Blasutig nasce a Savogna un piccolo paesino di montagna in provincia
di Udine, dove trascorre la sua infanzia e la prima giovinezza. Portati
a termine gli studi, si trasferisce a Milano, iniziando a svolgere la
sua attività lavorativa. Inizia a scrivere per gioco, intorno ai vent’anni,
noncurante della qualità e quantità di scritti e disegni. Pessimista
di carattere e sempre timorosa di fare brutta figura ed essere derisa,
smette improvvisamente. Qualche anno prima di andare in pensione, in
seguito ad un importante lutto, ricomincia a scrivere poesie, per rielaborare
il grande dolore. Nasce così: “Maledetta farfalla nera”, che
vince il terzo premio al Concorso “Scrivi l’Amore”, dedicato
a Mario Berrino nell’anno 2010. Comincia con una poesia, con due, e
via di seguito. All’inizio non si sente gratificata pertanto, quasi
senza rendersene conto e stupita, si trova davanti al suo primo racconto
che fa parte di una lunga serie tra cui “Tango bond o Eurobond”
e “Mercedes e Oscar” pubblicati dalla Casa Editrice “Asso
più” di Firenze. Nel 2014 è finalista al Concorso “Lella Razza”
con “Amore infedele” e “Donne diverse”. Tutti questi racconti
sono nati grazie a fatti di vita vissuta. Venendo io dal mondo del teatro,
avevo notato in lei una marcata predisposizione al dialogo, con varianti
posturali che mi avevano colpito. Da qui la richiesta di far parte di
un gruppetto di lettrici in grado di supportarmi in occasione delle
varie presentazioni. Questa affinità culturale ci ha portato poi alla
stesura di RUBLI E LIRE».
Quando potremo leggere un suo nuovo libro? Di cosa parlerà?
«Dovrebbe uscire a giugno/luglio il mio nuovo romanzo distopico
“A TASTE OF DEATH – Assaggio di morte”. Ho scritto questo romanzo partendo
dalla ricerca di un target di persone super ricche disponibili a sperimentare,
da vive, le forti sensazioni che possono scaturire da una morte violenta.
Ho creato la figura di un professore che inizia la produzione in mini-serie
di provette contenenti il siero specifico per le diverse tipologie di
morti traumatiche. L’obiettivo è quello di certificare e verificare,
in modo da poter poi raccontare, le sensazioni e le emozioni provate
in occasione di queste morti simulate. Chi è deceduto di morte violenta
non è mai riuscito a raccontare gli ultimi secondi della sua sofferenza.
Siamo arrivati al punto cruciale: una trasfusione di sangue e tessuti
per far vivere emozioni quale stratagemma per evidenziare le conseguenze
di una pratica non molto distante dal reale. Un monito sulle probabili
ripercussioni che una ristretta cerchia della società potrebbe causare.
Le storie distopiche sono sicuramente scomode se aiutano a far riflettere
perché ci spingono a uscire dalla nostra zona di sicurezza… a meno che
non vogliamo che diventino utopia».
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